Se invece della
sfera di cuoio liscia vi piace
quella tassellata a spicchi, e
anziché correre sul prato
preferite scricchiolare
scivolando su un parquet, tutti
quanti voi sanno che a Los
Angeles non ci sono soltanto le
case di cinema e tanto glamour,
ma anche altro. Tra questo
altro, di sicuro penserete a una
maglia giallo-viola, una scritta
inconfondibile e tante immagini
galvanizzanti. Eh sì, siamo pur
sempre ad Hollywood, e quelle
luci dorate, quel fascino
filmesco diverso da qualsiasi
altra cosa ce l’ha anche la
squadra di basket, i Los Angeles
Lakers. Quando si dice che i
Lakers sono anch’essi, a loro
modo “hollywoodiani”, fidatevi
che non si scherza, chi li
conosce lo sa. Nella loro storia
sono stati la dimora di molti
delle più grandi personalità
cestistiche del nostro secolo,
ognuno era attore-personaggio a
modo suo per un verso o per un
altro, basti pensare alle storie
di Wilt Chamberlain (Mr. 100
punti), Kareem-Abdul Jabbar (ve
lo ricordate che lotta con Bruce
Lee?) e Magic Johnson (uno
sportivo fiabesco e
contemporaneamente il
protagonista di una storia
tremendamente umana).
Nell’ultimo periodo di questa
franchigia però, quel clima
surreale è svanito e i Lakers
sono, almeno per ora, una delle
tante squadre della lega
americana. Di sicuro ci sono
state alcune precise dinamiche
che hanno portato allo stato
attuale, in primis il divorzio
(avvenuto nel 2011) con Phil
Jackson, l’allenatore cardine
della franchigia, che coi
giallo-viola ha vinto 5
campionati dal 2000 e ha perso
due finali. Phil Jackson è una
figura importantissima nel
basket NBA e non è famoso solo
per aver allenato i Lakers, ma
soprattutto uno che portava il
numero 23 e aveva cucito Chicago
sulla maglia, purtroppo non c’è
tempo di approfondire.
Un secondo elemento da prendere
in esame per analizzare il
contesto dei californiani è a
mio avviso anche la morte del
loro presidente storico Jerry
Buss, avvenuta a febbraio 2013.
Se andaste a vedere la storia di
quest’uomo pensereste che anche
lui non poteva non finire nella
città angelena. Buss era
laureato in chimica ma la vita
da scienziato non gli aveva dato
particolari brividi, un giorno
si chinò a guardare meglio le
mattonelle di casa sua, in
qualche modo scoprì che sotto
quelle fondamenta c’era del
petrolio. Approfittò della
fortuna e divenne leader nel
mercato immobiliare, poi
acquistò la squadra ad inizio
anni settanta e gli diede tutto,
se adesso i Lakers sono ciò che
sono lo devono a lui, non solo
in termini di palmares ma anche
di immagine e capacità
imprenditoriali. Per intenderci,
fu Jerry Buss a costruire pezzo
dopo pezzo l’atmosfera che si
respira attorno al marchio
Lakers fatto di vittorie,
successi, ma anche di grandi
star sempre bordo campo (Jack
Nicholson per dirne uno), perché
come vi ho detto questa è
Hollywood e proprio Buss una
volta disse che anche i Lakers
devono esserlo. Vi gioverà
sapere che la squadra non è
passata in mani altrui, ma è
rimasta a gestione dei figli di
Buss, principalmente attraverso
il controllo di Jeanie Buss (ex
playmate e attuale moglie di
Phil Jackson, ve l’ho detto dove
siamo) che ne gestisce le
operazioni commerciali e Jim
Buss che si occupa della
direzione sportiva. Sul talento
per gli affari di Jeanie nulla
da eccepire, è firmataria di un
accordo per i diritti televisivi
di centinaia di milioni con la
televisione… locale.
Sull’efficacia di Jim invece c’è
ancora qualche dubbio, ma
lasciamolo fare, non tutto
dipende da lui. E’ proprio vero
che non tutto dipende da lui, ma
in parte anche da Kobe Bryant,
bandiera indiscussa della
squadra e grande campione il
quale, nonostante sia reduce da
un grave infortunio e abbia
davanti solo altri due anni di
carriera, ha deciso, anzi ha
imposto (Kobe può) di rinnovare
il suo ultimo contratto a cifre
stratosferiche, arrivando a
guadagnare complessivamente da
ora fino al 2016 la bellezza di
45 milioni di dollari. Per le
squadre NBA c’è un limite alla
cifra del monte salariale
generale, e questo influisce
negativamente sulle manovre di
mercato da poter fare nel caso
si ha già “impegnata” una grossa
cifra.
Appurato quindi che Kobe sia il
terzo punto problematico dei
nuovi Lakers, andiamo più piano
e vediamo che scenario li
attende al momento attuale. Al
momento i giallo-viola sono
senza un allenatore. Mie
D’Antoni è stato esonerato
quest’estate dopo due anni sotto
le aspettative, in realtà
riguardo la scorsa stagione ha
poche colpe, ma non ci si è
fidati di lui. La dirigenza ha
fatto sapere che un nuovo coach
verrà annunciato nelle prossime
due-tre settimane, nel frattempo
però, Los Angeles ha reclutato
l’ala piccola Julius Randle nel
Draft (l’evento dove vengono
scelti i migliori giocatori del
college) con la settima chiamata
nell’ordine stabilito, Randle è
quindi un giocatore promettente
e sul quale si deve puntare,
rimane però un fatto strano che
una scelta così importante sia
stata fatta senza ancora un
tecnico a guidare le operazioni
e a dire la sua. Non accade
quasi mai e questo può essere
già un messaggio chiaro a chi
siederà sulla panchina, come a
intendere: “Questo è ciò che
offre la casa, si adatti”. I
Lakers hanno però un vantaggio,
quello di aver rescisso tutti i
contratti che avevano attivi
nell’anno precedente, mantenendo
per ora a libro paga solo 4
giocatori (Kobe, Nash, Marshall,
Sacre), ciò gli consente di
avere un buon capitale da
spendere nel mercato. In effetti
lo stipendio di Kobe pesa, e non
poco, ma stando così le cose Los
Angeles può prendere almeno uno
dei migliori giocatori
disponibili, quest’estate ce ne
sono parecchi, magari un'altra
pedina comunque utile e, se dio
vuole, l’allenatore. Gli
allenatori buoni si trovano, ma
uno vincente lo devi pagare
abbastanza, e tale situazione
non ci lascia certo pensare che
i Lakers saranno
stra-competitivi all’inizio del
torneo. Andare ai playoff
sarebbe già un buon risultato,
per il titolo però ci vogliono
tante componenti, ovvero
un’ossatura precisa e delle
riserve promettenti, cose che al
momento in California non ci
sono. Quello che lascia
perplessi, non è tanto il fatto
che i Lakers non sembrano essere
tra i pretendenti principali,
quanto l’impressione che negli
ultimi tempi non si percepisca
la linea di un progetto chiaro,
le linee guida di un disegno
che, se anche bisogna aspettare,
riporterà la franchigia in alto
dove merita. La confusione dello
staff si palesa con gli
avvenimenti più recenti, con due
allenatori esonerati in quattro
anni, D’Antoni poc’anzi e Mike
Brown nel 2013 dopo solo 4
partite di stagione. Brown le
aveva perso tutte quelle quattro
partite ma aveva fatto bene
l’anno precedente superando un
turno di playoff, era davvero il
caso di allontanarlo
all’improvviso? Lo stallo della
franchigia sembra essere
iniziato idealmente da quando a
sorpresa saltò l’accordo con
Chris Paul, uno dei migliori
play-maker NBA che in extremis
non poté più aggregarsi ai
Lakers quando si aspettava solo
la firma. Il grande playmaker da
cui si voleva ripartire non era
arrivato e bisognava trovare
contromisure. Venne preso Nash,
un nome altisonante ma che sul
groppone ha ormai 40 primavere,
e a quanto pare le sente tutte,
visto che il suo fisico non
regge più e sta più minuti dal
fisioterapista che in campo. Nel
2013 si provò comunque la strada
dei Big Three con Nash, Kobe e
Dwight Howard, l’annunciato
grande circo si trasformò in una
tragedia greca, e ancora oggi se
ne pagano le conseguenze, con
investimenti volutamente
contenuti e una rosa
deficitaria, perché al tempo si
era dovuto risparmiare sui
giocatori non titolari e non
solo.
Bryant intanto rende noto che
gli piacerebbe essere allenato
da Byron Scott, vecchia gloria
giallo-viola e coach esperto, e
dichiara alla stampa che il
potenziale arrivo di Carmelo
Anthony potrebbe indurre Pau
Gasol a restare. Gasol è stato
bistrattato dalla società per
due anni di fila, due anni in
cui è stato al centro di uno
sgradevole tira e molla dove
veniva ceduto e ripreso
all’istante. Non è stato un bel
trattamento e la decisione dello
spagnolo di andarsene non
stupirebbe, viste anche le
interessanti offerte ricevute. A
Los Angeles però è stato sempre
amato dai tifosi, e soprattutto
da Kobe che vorrebbe proprio
giocare con lui e Anthony dentro
l’area, Melo però pare voglia
restare a New York dove adesso è
arrivato indovinate chi? Phil
Jackson. Stavolta però non come
allenatore ma da General
Manager.
L’impressione insomma, è che
apparentemente la dirigenza non
abbia forte volontà di
concorrere almeno per le
prossime due stagioni, le ultime
di Kobe Bryant, e magari stia
pensando (molto riservatamente)
di aspettare il ritiro della
mitica guardia per poi
ricostruire da zero e candidarsi
di nuovo a protagonisti di
domani. E’ tuttavia solo la mia
ipotesi e non sarebbe male
essere smentito, a noi tocca
solo osservare le mosse e
analizzare le contingenze, per
vedere se tornerà a battere il
sole ad Hollywood!
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