Oggi
trattiamo ancora di politica, e
lo facciamo con un’interessante
intervista a Fiorenzo
Fraioli, professore e
membro dell’ARS (Associazione
Riconquistare La Sovranità)
esperto di temi economici.
Dieci domande e risposte che vi
stimoleranno molto e vi saranno
d’aiuto. Buona lettura…
*********
Salve Fiorenzo, prima di
cominciare a chiacchierare
facciamo una piccola
introduzione. Ci fornisca dei
brevi cenni sulla sua vita, ci
presenti l’ARS e ci dica qual è
il ruolo che svolge
nell’Associazione.
Ho 58 anni e insegno elettronica
nella scuola media superiore dal
1991. Prima di allora avevo
lavorato come ingegnere presso
l’Ansaldo nucleare e,
successivamente, ho svolto
attività di sistemista
informatico sia in ambito
industriale che in progetti per
la Pubblica Amministrazione.
Sono uno dei primi militanti
dell’ARS e faccio parte del
direttivo nazionale, insieme con
altri cittadini di Frosinone, i
più attivi dei quali sono gli
amici Claudio Martino e
Gianluigi Leone.
L'obiettivo principale
dell'ARS è informare e
sensibilizzare la gente sugli
argomenti politici, uno dei temi
più affrontati è la distorsione
del sistema Euro con i danni che
esso provoca…
Il compito essenziale dell’ARS
non consiste nell’informare e
sensibilizzare, ma nel
promuovere la rinascita della
militanza politica dal basso. E’
ovvio che ciò comporta anche
un’intensa attività di
informazione e divulgazione, ma
questo è un mezzo, non il fine
ultimo. Quanto all’euro, noi
consideriamo un evento fortunato
il fatto che sia stato un’idea
sbagliata, perché il suo
evidente fallimento è utile a
mettere in luce gli aspetti più
inquietanti e antidemocratici
del processo di unificazione
europea, così come questo
è stato progettato e
implementato.
Il progetto Euro era
stato criticato ai suoi albori
anche da illustri economisti,
tra cui vari premi Nobel.
Secondo lei, per quale motivo le
forze politiche hanno deciso
ugualmente di attuare l'unione
monetaria? Si dice che la stessa
moneta comune avrebbe accelerato
l'unione politica vera e
propria...
Il passaggio cruciale è stato il
triennio 1979-1981, prima con
l’adesione allo SME e poi con il
divorzio tra Tesoro e Banca
d’Italia. Il motivo per cui le
forze di sinistra, segnatamente
il PSI e il PCI, adottarono una
linea di opposizione più di
facciata che di sostanza è,
ancor oggi, una questione
irrisolta. Resta il fatto che le
cose sono andate così. Sul
fronte opposto una parte
dell’imprenditoria italiana,
quella che ai tempi si chiamava
“il salotto buono della finanza
italiana", vide nello SME uno
strumento per disciplinare le
richieste
sindacali. Infatti la necessità
di mantenere l’aggancio con la
parità di cambio, sottoscritta
aderendo allo SME, creava un
vincolo esterno che giustificava
la compressione delle dinamiche
salariali. Tuttavia
lo SME prevedeva la possibilità
di riaggiustare le parità, cosa
che avvenne regolarmente.
Inoltre, essendo un semplice
accordo di cambio, e non
un’unione monetaria, questo
poteva essere rotto in qualsiasi
momento, cosa che effettivamente
avvenne nel 1992, quando lo SME
di fatto cessò di esistere. A
dispetto di questo fallimento si
decise ugualmente di insistere,
adottando la moneta unica il 1
gennaio 1999.
Nove anni dopo, quando è
arrivato lo shock della crisi
americana, ci siamo ritrovati in
gabbia: non potendo uscire,
semplicemente denunciando un
accordo di cambio come nel 1992,
l’unica strada percorribile è
stata quella del rigore fiscale.
Questo ha causato una crisi che,
nelle attuali condizioni, è
irrisolvibile. In definitiva
l’euro ha danneggiato il
processo di integrazione
europea, ammesso che questa
fosse la volontà degli
architetti dell’euro, e non
piuttosto un’operazione volta a
trasferire il potere dagli Stati
democratici per
porlo nelle mani di interessi
privatistici sovranazionali.
Lei ovviamente crede che le
cause della crisi italiana siano
da attribuire unicamente alle
questioni economiche, e non a
fenomeni generali come
corruzione, casta, spreco.
Cavalcare l'idea dominante che
per risollevarsi bisogna puntare
sulle riforme, sulla crescita e
la riduzione della spesa
pubblica, è per lei demagogico?
Se sì, ci spieghi perché.
Se noi siamo corrotti e
spreconi, allora lo sono anche
il Portogallo, l’Irlanda, la
Grecia, la Spagna, e presto
anche altri paesi, per primi la
Francia e la Finlandia. Paesi
diversi, lontani
geograficamente, con maggioranze
politiche diverse, che sono
entrati contemporaneamente in
una crisi catastrofica.
Difficile da spiegare con
l’ipotesi che siano diventati
tutti e nello stesso momento
corrotti e spreconi! Le
cosiddette riforme, che
dovrebbero stimolare la crescita
e la riduzione della spesa
pubblica, in realtà puntano
tutte nella stessa direzione:
abbattere i salari, le pensioni,
il welfare, considerati come un
lusso che non ci possiamo
permettere in omaggio al totem
della concorrenza. Tutto ciò per
conservare una moneta che è
funzionale agli interessi del
grande capitalismo
sovranazionale, in spregio ai
valori solidaristici della
Costituzione del 1948.
L’ARS è anche molto critica nei
confronti dell'impostazione
della finanza odierna. Non a
caso nel vostro programma
proponete la cosiddetta
“Restrizione Finanziaria” e un
“Regime Finanziario Nazionale”.
Sembrano termini intimidatori,
ma in realtà hanno in sé
concetti molto interessanti. Ci
illustri brevemente questo
punto.
Il termine che usiamo è
“Repressione finanziaria”. Si
tratta, né più né meno,
dell’assetto finanziario in
vigore dal 1933 negli USA e, a
seguire, in tutto il mondo, da
noi a partire dal 1936. Dopo la
crisi del 1929, causata da
quelli che, all’epoca, erano
chiamati “capitali fluttuanti”,
ci si rese conto della necessità
di porre severi limiti alla
libertà di circolazione dei
capitali. Negli USA ciò avvenne
con l’approvazione del
Glass-Steagall Act, da noi con
la legge bancaria del 1936.
Quest’ultima fu confermata dai
governi degli anni cinquanta,
salvo marginali modifiche nel
1956, per poi essere rapidamente
demolita in un triennio, dal
1988 al 1990. Ciò avvenne in
concomitanza con il cosiddetto
“SME credibile”, ovverosia
l’adozione di impegni più
vincolanti all’interno dello
SME. Come già ricordato, due
anni dopo lo SME crollava sotto
il peso della sua
insostenibilità.
Ma adesso andiamo nel vivo, e
simuliamo un'ipotetica uscita
dall'Euro: se si scegliesse di
abbandonare l'Euro, i trattati
internazionali prevedono due
anni entro i quali completare la
recessione dall'unione monetaria
e dall'UE stessa. Posto che
questa sia la scelta migliore e
più benefica, anch’essa non
sarebbe esente da compromessi e
"manovre d'urgenza" da adottare
al momento del passaggio. Quali
sarebbero nel caso le
negoziazioni da avviare con gli
altri Stati e le manovre di
urgenza da applicare?
L’euro è un morto che cammina.
Le trattative, nel tentativo di
conciliare i conflitti di
interesse, sono già in corso.
Tutto o quasi avviene alla luce
del sole, ma non viene compreso
per l’analfabetismo
politico-economico di gran parte
dell’opinione pubblica. L’ideale
sarebbe una demolizione
controllata e concordata, ma se
esistesse la capacità di
cooperare l’euro, pur rimanendo
uno strumento di lotta di
classe dall’alto e di egemonia
dei paesi più forti dell’UE a
danno di quelli più deboli,
potrebbe sopravvivere. La realtà
è che, anche in questa
circostanza, i paesi e i gruppi
sociali che stanno vincendo,
dopo essersi avvantaggiati con
la moneta unica, non si
accontentano: vogliono
stravincere. Per rispondere alla
sua domanda, è ovvio che i primi
provvedimenti da adottare
dovrebbero essere la
reintroduzione di
vincoli alla circolazione dei
capitali, cioè il ritorno alla
situazione ante 1990, la
rinazionalizzazione del sistema
bancario, il ritorno alla lira
e, contestualmente, una forte
svalutazione, cioè l’adozione di
un cambio con l’estero in linea
con i fondamentali della nostra
economia. Per un periodo
transitorio, infine,
l’indicizzazione dei salari e
delle pensioni più basse.
Bisogna davvero temere la
svalutazione della moneta che ne
deriverebbe? O è solo un tabù? E
che mi dice di altri tabù come
l'inflazione o l'innalzamento
dei tassi d'interesse?
Dobbiamo essere chiari: al punto
in cui siamo ci sarà comunque un
prezzo da pagare. Quanto agli
“spauracchi”, come li ha
chiamati, mi consenta di porle
una semplice domanda: per lei
sarebbe meglio
continuare con una
disoccupazione al 13% e
un’inflazione allo zero, oppure
avere l’inflazione al 13% ma la
piena occupazione? Si faccia due
conti e si dia una risposta.
Ogni italiano dovrebbe porsi
domande
simili. Quanto ai tassi di
interesse, con una moneta
sovrana, e tenuto conto che
l’Italia è in avanzo primario da
almeno vent’anni, questo
semplicemente non è un problema.
Un altro grande spauracchio è il
debito pubblico. Ma molti
pensano che gestire il debito
con la propria moneta sia una
soluzione molto più razionale e
vantaggiosa, è vero?
Le piacerebbe poter onorare i
suoi debiti semplicemente
stampando dei pezzi di carta con
il suo computer? Ebbene, uno
Stato a moneta sovrana ha questa
facoltà. E’ un bel vantaggio,
del quale è bene non abusare,
ma resta un vantaggio. Quel che
è certo è che l’Italia non ha
mai abusato di questa
possibilità, nemmeno quando,
prima del divorzio Tesoro-Banca
d’Italia, ciò era possibile.
Inoltre, come già ricordato,
da più di venti anni l’Italia è
l’unico paese al mondo ad avere
un avanzo primario di oltre il
2%. In definitiva siamo uno dei
paesi più seri, affidabili e
solvibili al mondo. Il problema
è sempre lo stesso: a valle di
ogni scelta politica, anche la
più razionale, c’è qualcuno che
ci perde. Il nodo della
questione è questo.
Per quanto riguarda il
costo dell'energia che
importiamo ci sarebbe da
preoccuparsi?
Tutti i beni importati
costerebbero di più, non solo i
prodotti petroliferi. Tuttavia
si deve guardare al saldo, ossia
alla differenza tra esportazioni
e importazioni. E' il saldo che
determina la posizione
commerciale, e da questo punto
di vista si avrebbe una tendenza
ad importare di meno proprio a
causa degli aumenti di prezzo,
ma per la stessa ragione si
esporterebbe di più. Una parte
delle merci importate, inoltre,
sarebbe sostituita da fornitori
domestici messi fuori gioco
dall'euro, mentre potremo
recuperare frazioni di mercato
estero attraverso il recupero di
competitività generato dalla
svalutazione. Che questo gioco
sarebbe favorevole per l'Italia
è asseverato da molti studi, ma
non c'è molto tempo: una volta
distrutto il nostro tessuto
industriale, gli effetti
positivi di un'eventuale
svalutazione sarebbero molto
inferiori. E' il caso della
piccola Grecia che, non avendo
praticamente un'industria
esportatrice (feta e yogurt a
parte), pur avendo comunque
benefici dal ritorno alla dracma
resterebbe quello che era prima
dell'adesione all'euro: un paese
povero. Non così per noi che
eravamo, e ancora siamo, la
seconda potenza industriale
d'Europa, e il più temibile
concorrente della Germania. Ma
se accettiamo il principio che,
per restare nell'euro, si deve
abbattere la domanda interna,
come facciamo da sei anni a
questa parte, tra pochi anni per
noi sarà finita.
Un'ultima considerazione: si
parla tanto di prendere esempio
dai tedeschi, vale davvero la
pena imitarli? O anche loro
rappresentano in parte un mito
fatto di luci ed ombre?
Lei ricorda che, ancora pochi
anni fa, gli avvocati di classe
dell'euro esaltavano la Spagna
di Zapatero? Lei sa che, ancora
alla metà degli anni duemila la
Germania aveva una
disoccupazione più alta della
nostra? E che per tutti gli anni
novanta era chiamata "la grande
malata d'Europa"? Lei sa che
solo dal 2004, con le riforme
del mercato del lavoro che hanno
abbattuto i salari del 10% in
termini reali, il grande
capitale tedesco ha preso il
sopravvento? Le faccio un
paragone calcistico: immagini
due squadre di calcio, di cui
una formata da calciatori di
grossa stazza, e l'altra da
giocatori leggeri ma in possesso
di grande tecnica e velocità. Su
che tipo di campo conviene
giocare all'una e all'altra
squadra, sul bagnato, o
sull'asciutto? Ebbene, da ormai
quindici anni i paesi del sud
giocano la partita su un campo
fangoso e pesante. Chi sta
vincendo sta barando, ma il
peggio è che è la nostra
federazione ha scelto di farci
giocare su un campo pesante! In
ultima analisi, dunque, il
problema è politico, e non lo si
risolve solo informando. E'
necessario cambiare i vertici
della federazione, cioè
conquistare il potere politico.
Questo è l'obiettivo dei
sovranisti.
Per concludere, in che modo
l'ARS vuole arrivare ad avere
influenza politica nell'ambito
di cui si occupa? Inoltre,
pensate che al momento ci siano
in gioco schieramenti politici
in grado di recepire il
messaggio dell'Associazione e
perseguire i vostri obiettivi?
L’ARS non è un partito, ma
un’associazione politica. Siamo
una frazione del sovranismo
italiano e diventeremo un
partito unendoci ad altre forze
sovraniste. Non sarà un processo
immediato, perché non
sarà facile strappare milioni di
italiani, danneggiati dall’euro
e dall’Unione Europea, al sonno
della ragione cui sono stati
indotti, ma pensiamo di ottenere
i primi risultati tangibili
nell’arco di due o tre anni. Da
quel momento inizierà la vera
partita.
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