Se
qualcuno ancora non lo sapesse,
il campionato di basket più
divertente del mondo sta per
ripartire, o meglio è già
ripartito, ma è in fase di
amichevoli pre-stagionali, il
periodo ufficiale che in America
chiamano Pre-Season. Per la
cronaca molte gare di
pre-stagione verranno giocate in
Europa, come da un po’ di anni
si fa per motivi promozionali.
Quindi chi potesse fa ancora in
tempo a dare un’occhiata al
calendario e prenotare un
biglietto in una località non
molto lontana, basta qualche ora
di aereo. Sì parlo di aereo
perché in Italia purtroppo
niente gare amici. I nostri
palazzetti sono reputati
“obsoleti” dai dirigenti della
Lega e per questo lo Stivale non
si ritiene appetibile per
l’esportazione del prodotto NBA.
Ci mancava pure questa, un’altra
bella figura fatta da noi
italiani, anche se ad essere
sincero non me la sentirei di
dare torto ad Adam Silver…
Tralasciando questa triste
parentesi, possiamo dire che ci
si aspettava un mercato coi
fuochi d’artificio e in parte
c’è stato, ma bisogna anche dire
che molte delle stelle che
pareva sarebbero approdate in
altri lidi sono invece rimaste
dov’erano, come ad esempio nel
caso di Dwayne Wade e
Chis Bosh,
i quali hanno rinnovato con
Miami, e Carmelo Anthony che ha
scelto la Grande Mela, anzi no,
ha scelto Phil Jackson. Abbiamo
menzionato i nomi e le aree su
cui si sono concretizzati gli
snodi centrali del mercato
estivo: Phil Jackson appunto è
andato a New York, la città del
suo cuore, dove stavolta farà il
general manager e appena entrato
ha lasciato subito odore di
Triangolo (nome con cui si
definisce il celebre sistema
d’attacco che ha sempre
utilizzato e col quale ha vinto
più di chiunque), che credo
possa valorizzare molto Anthony
e soprattutto Bargnani. Quale
occasione migliore per il Mago
di farsi davvero notare se non
con un impostazione che fa
grande affidamento sul pivot e
con alle spalle gli occhi
attenti del Maestro Zen? Curiosa
anche la scelta di panchina di
Jackson, il quale ha collocato
Derek Fisher, uno appena
ritiratosi che ad egli deve
tutto ma che in quanto a
saggezza lascia certamente ben
sperare. E adesso spostiamoci a
South Beach. Sotto il sole di
Miami adesso c’è molta meno
spensieratezza, Pat Riley è
riuscito a tenere Bosh e Wade ma
ha perso il suo diamante Lebron
James. Il Re ha capito che
bisognava cambiare pagina, ha
scelto di rimettere ancora la
maglia di Cleveland in uno dei
ritorni più romanzati della
storia dello sport. James
stavolta trova una squadra con
un potenziale ben più alto di
quella passata e delle grandi
aspettative che nessuno ha
deciso di frenare. La squadra
vanta infatti la presenza di
Kyrie Irving alla regia, un
redivivo Kevin Love che arriva
da Minnesota e l’ottima spalla
Dion Waiters. Specialmente l’NBA
però ci insegna che non sono i
singoli valori in campo a
determinare il dominio di una
squadra, altrimenti non avremmo
visto cadere i tanti dream team
assemblati in passato. La vera
forza si costruisce con la
sintonia di squadra,
l’attenzione alla difesa, la
fondamentale panchina e,
ovviamente, l’allenatore.
Proprio sulla guida tecnica in
questo caso si hanno tutte le
riserve del mondo, anche se non
è affatto corretto scrivere così
di uno come David Blatt. Blatt
arriva dall’Europa e non ha mai
allenato negli Usa, pur essendo
americano. Da ragazzo ha giocato
al college a Princeton,
università famosa non solo per i
cervelloni che sforna ma nel
basket soprattutto per una
leggenda chiamata Pete Carril.
Carril allenò a sua volta David
Blatt e gli insegnò il suo
marchio di fabbrica: il
Princeton Offense, uno degli
attacchi più geniali e famosi
del basket al pari del
Triangolo. David Blatt insomma
di cultura cestistica ne ha e la
pallacanestro di casa sua la
conosce, è inoltre uno dei coach
più blasonati in Europa, dove ha
vinto tutto ciò che c’era da
vincere inclusa quest’ultima
Eurolega col Maccabi. Trovarsi
però a gestire una squadra di
fuoriclasse non è facile, ancor
più se sei al primo anno in NBA
e tutti si aspettano già
d’arrivare in fondo. Molto
dipenderà da quanto la
leadership di James riuscirà a
stabilizzare tutto. In effetti
Cleveland pullula di campioni,
ma che Irving, Love e James
funzionino bene assieme è una
vera scommessa che comunque
piacerebbe fare a tutti. Love è
uno che da anni domina la
statistiche in generale, ma con
Minnesota non ha mai visto i
playoff. Irving è ancora
intrappolato in quella
dimensione da playground che lo
rende un giocatore da gustare
con birra e pop-corn ma il quale
non fa pensare a un uomo
squadra. Sono comunque tutte
supposizioni, e nessuno esclude
che dei veri campioni quando
conta si sappiano comportare
come tali. Il resto ce lo
svelerà il futuro, ma di sicuro
una certezza ce l’abbiamo già.
Cioè che i San Antonio Spurs,
vecchi e decrepiti, saranno di
nuovo quel grandioso collettivo
mostrato l’anno scorso. I
giocatori sempre quelli, sempre
più vecchi e sempre più
straordinari, coscienti ora di
poter contare moltissimo su
Kawhi Leonard, Boris Diaw e
anche sul nostro Marco Belinelli,
che un posto importante se l’è
guadagnato e dà tutta
l’impressione di poterselo
mantenere, se non addirittura
ampliarlo. Ecco cosa vuol dire
avere a capo dell’orchestra un
direttore come Greg Popovich.
Dopo questa veloce panoramica vi
invito a prepararvi e scaldare i
motori per un’altra stagione
esaltante che ha già tutto per
entusiasmare. Lo sapete che il
basket non vi mente. Neanche
quest’anno!
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